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Dal Nicaragua al Salvador

Dall’UNAN (Universidad Nacional Autónoma de Nicaragua) all’UES (Universidad de El Salvador), dal FSLN (Frente Sandinista de Liberación Nacional) al FMLN (Frente Farabundo Martí para la Liberación Nacional), prosegue il mio processo di apprendimento sulle lotte rivoluzionarie in Centro America.

 

Se lì il Frente è al potere, qui è all’opposizione. Ma la lotta è la stessa, è la lotta per il comunismo, e storicamente in entrambi i casi le università sono parte integrante di questo cammino rivoluzionario. Due università bellissime anche esteticamente. Dove c’è un muro, c’è un murales e per uno come me, ACCUSATO di voler far politica nell’università è un’emozione grande poter partecipare a questi processi.

 

Il primo dibattito, interessantissimo, cui ho partecipato è stato sull’imperialismo culturale. Un corso unico tenuto da un professore speciale, Guillermo Campos, Direttore del Dipartimento di Filosofia della UES. Non si parte dalla letteratura accademica ma dalla vita di tutti i giorni. In questo caso, dalla musica, che ci entra nel cuore e nella cultura da quando siamo bambini, che condiziona il nostro modo di pensare e che ispira la reazione spontanea del nostro corpo. Gruppi di studenti si concentrano su diversi generi musicali, propongono alcuni estratti e ne discutono le origini storiche, il contesto socio-politico, i contenuti di classe e quelli rivoluzionari, nelle diverse epoche storiche e nelle diverse regioni del mondo. Per un vecchio Marxist punk come me, semplicemente l’approccio più diretto e coinvolgente al materialismo storico! E ovviamente non mi sono tirato indietro quando mi hanno chiesto un contributo. Ho provato a raccontare il contesto socio-politico in cui si sviluppa il movimento punk, non quello delle etichette discografiche, ma quello da strada, in cui non conta come suoni ma che rabbia esprimi. Con la faccia come il culo, gli ho dunque propinato Wardance, non il capolavoro dei Killing Joke (scegliere un pezzo di una band vera sarebbe stato fare un torto a tutte le altre), ma quello arrabbiatissimo dei Guns Not Roses, in cui malmeno personalmente la batteria, Live at Uonna, come risposta dal basso, che più basso non si può, all’attacco imperialistico contro l’Irak del 1991.

 

Sempre nell’ottica della lotta all’imperialismo culturale, ho poi partecipato a un altro dibattito sul pensiero latinoamericano in cui, come sempre, ho imparato molto e ho portato la critica di chi nel centro dell’impero ci è nato e cresciuto, sentendosi dire a scuola che la Roma antica è fonte di insegnamento per il mondo intero, che l’Europa è il “vecchio continente” e che l’America fu “scoperta” nel 1492. E già perché anche la geologia, secondo la cultura imperialistica, si sviluppa secondo le leggi dello sfruttamento internazionale e della dominazione dei popoli.

 

Ho poi tenuto una relazione sulla “crisi da covid”, insistendo sugli aspetti economico-finanziari come chiave per demistificare la narrazione dominante, tutta incentrata sui diritti universali e i più alti valori morali. Come se nel capitalismo potessero esistere i diritti universali e come se la morale borghese non fosse figlia della logica del profitto! Governi criminali, multinazionali assetate di profitto e organizzazioni internazionali al servizio del grande capitale da un giorno all’altro diventano i protettori della nostra salute, della nostra società e della nostra vita. Mentre i monopoli dell’informazione, dell’industria farmaceutica, delle armi, dell’alta tecnologia e della green economy sferrano un attacco ai settori tradizionali ai più alti livelli di scontro tra blocchi imperialistici, il popolo si divide, la classe lavoratrice viene mandata al macello e Black Rock brinda … alla nostra salute!

 

La quarta iniziativa cui ho partecipato si è incentrata sul ruolo del pensiero critico nelle università, nella società e nella lotta rivoluzionaria. Un invito a nozze per me e per il mio progetto di Università Critica. La scienza deve liberarsi dalle catene del capitale e porsi al servizio del popolo e delle lotte. In ogni parte del mondo. Quello che faticosamente cerco di sviluppare in Italia e in Europa qui lo fanno con consapevolezza politica e rigore scientifico. A margine dell’incontro, una compagna mi ha raccontato che quell’idea di “ricerca scientifica militante” che avevo difeso con passione un paio di anni fa, nell’incontro in cui c’eravamo conosciuti, è uno dei principi ispiratori di una nuova rivista che attualmente dirige.

 

L’ultimo dibattito cui ho partecipato ha affrontato la relazione tra lotta sociale, potere popolare e processo elettorale. In questo periodo, si è votato in diversi paesi dell’America Latina e i processi in corso sono sempre articolati e contraddittori. Analizzarli con cura sia dove si vince sia dove si perde è la base per andare avanti. Critica e autocritica sono due momenti necessari in ogni strategia per la trasformazione della realtà. A me stato chiesto di discutere la crisi della sinistra in Europa e, in particolare, in Italia. Ho sostenuto che il rifiuto dell’ottica marxista, iniziato già nel PCI, ha spalancato le porte alla concezione borghese e, con l’avvento del neoliberismo a livello mondiale la differenza tra destra e sinistra è divenuta superflua. I programmi economici sono gli stessi, la concezione politica pure e, nell’incapacità di sviluppare un progetto alternativo, la sinistra cerca giustificazione unicamente in una presunta base morale superiore. Alla domanda più puntuale circa le strategie del partito comunista e dei sindacati dei lavoratori ho dovuto rispondere, con un certo imbarazzo, che noi di partiti comunisti ne abbiamo cinque (scusatemi se ne ho dimenticato qualcuno) e che i nostri sindacati non sono dei lavoratori ma dei padroni. Senza nessuna pretesa di oggettività, essendo soggetto direttamente coinvolto, ho sostenuto che le strategie dei nostri partiti comunisti sembrano più ispirate a differenziarsi dagli altri partiti comunisti che non a costruire un fronte unico attraverso cui vincere le lotte sociali e politiche. Per questo, si perdono sia le elezioni, sia le lotte. Sul fronte sindacale, ho sottolineato il ruolo dei sindacati di base e dell’autorganizzazione operaia e, più in generale, del movimento dei lavoratori come aspetti centrali delle lotte reali nel nostro paese, in un contesto in cui la rappresentanza politica e sindacale sono andate perse ma non per questo si è spenta la carica di lotta nella società e nei posti di lavoro.

 

Con mezzo cuore ancora in Nicaragua, anche questa settimana salvadoregna densa di insegnamenti volge al termine. Venceremos!

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Commenti: 1
  • #1

    Angélica Isabel Calero Alemán (venerdì, 03 dicembre 2021 02:27)

    Participe de una de sus conferencias en la UNAN es simplemente maravilloso, muchas gracias por compartir con nosotros.