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Il punketto di statistica contro tutti

Nel 1990, mentre studiavo il fenomeno dell’Hiv/Aids per la tesi di laurea in Scienze statistiche ed economiche, raccolsi informazioni da varie fonti. In Italia, le due categorie più colpite e stigmatizzate erano (e in gran parte restano) gli omosessuali e i tossicodipendenti. Andai dunque innanzi tutto nei circoli omosessuali a sentire come stavano vivendo il problema e come si stavano equipaggiando per affrontarlo. Per la seconda categoria non ebbi invece bisogno di spostarmi visto che tre quarti dei miei amici erano “tossici” e, in gran parte, era proprio questa la motivazione sociale della scelta dell’argomento scientifico che volevo approfondire. Ma incontrai anche epidemiologi in prima linea nella ricerca e nella lotta a quell’epidemia e, soprattutto, andai all’Istituto Superiore di Sanità e al Consiglio Sanitario Nazionale a raccogliere valanghe di dati.

 

Mi sembrava assurdo che un virus, tutto sommato fesso e facile da combattere, stesse mietendo vittime e diffondendo il terrore. Soprattutto perché i circoli omosessuali si organizzarono subito con campagne informative e preventive volte ad incoraggiare l’uso del preservativo e alcune Unità Sanitarie Locali (le unità di base del Servizio Sanitario Nazionale prima della trasformazione neoliberista in Aziende Sanitarie Locali e della parallela trasformazione del SSN in Servizio Sanitario Regionale, al fine di discriminare meglio tra ricchi e poveri), particolarmente attente a questi problemi socio-sanitari, produssero rapidamente, grazie alla loro presenza sul campo, ampia evidenza empirica su alcuni efficaci metodi di prevenzione, basati sulla fornitura di siringhe sterili o di bustine di varechina con cui sterilizzare la propria siringa.

 

Ma queste pratiche non erano gradite ai poteri forti e il governo, invece di valorizzare il lavoro di chi si confrontava quotidianamente col problema, le mise a tacere. Figuriamoci se il Vaticano poteva gradire la distribuzione di preservativi e se quei cialtroni di Craxi, Vassalli e Jervolino — nel pieno della loro campagna di criminalizzazione della tossicodipendenza e dei tossicodipendenti — potevano accettare di fornire siringhe pulite a quelle persone che loro volevano mettere fuori legge. Si optò quindi per spot pubblicitari da terrorismo psicologico, si finanziarono i centri di eccellenza nella ricerca medica per dare visibilità a medici e ricercatori di grido … e si rinchiusero in carcere i tossicodipendenti dove, come è noto, le condizioni sanitarie non sono delle migliori.

 

L’informazione giornalistica anche in quel caso diede il suo contributo. Invece di sviluppare un lavoro d’inchiesta per dare visibilità agli studi di prevenzione applicati sul campo e ai risultati raggiunti a livello internazionale, obbedì ossequiosamente alle indicazioni politiche governative, contribuendo a discriminare e criminalizzare i soggetti a rischio di contagio e alimentando i pregiudizi, col risultato che la diffusione dell’Hiv si estese rapidamente agli eterosessuali e ad altri soggetti che senza nemmeno fare sesso o assumere droga furono contagiati in vari modi, inconsci dei loro comportamenti a rischio.

 

Eppure i dati erano lì, bastava studiarli. Con quattro soldi, un po’ di buon senso e un minimo di rigore scientifico si potevano salvare tante vite.

 

Nel 1990, i morti per Aids furono 1.947, in rapida crescita rispetto agli anni precedenti. Il numero di morti raggiunse il picco nel 1995, a quota 4.582, per poi ridiscendere altrettanto rapidamente. Oggi i morti annuali sono circa 500. E purtroppo di alcuni di questi numeri conosco anche i nomi e i soprannomi.

 

Siccome all’epoca non ero un imbecille, nello studiare i dati sull’Hiv non potei non allargare il mio campo di indagine. Mi resi così conto che i dati sull’epatite, giusto per fare un esempio, erano in realtà 10 volte più allarmanti in quanto a numero di morti. E se parliamo di comportamenti, non è certo il sesso non protetto o lo scambio di siringhe ad uccidere di più nel nostro paese ma l’uso di alcol e di tabacco. In Italia, i morti annuali per alcol e fumo attivo sono circa 40.000 e 70.000 rispettivamente.

 

Ovviamente, ogni volta che ho provato a riportare questi dati in discussioni da bar o da salotto mi sono fatto deridere da pivelli al primo bicchiere, con battute del tipo “mi sa che sei tu che hai alzato un po’ il gomito”, “ma sei sicuro che sono semplici sigarette quelle che fumi?” Capite, questo mi sono sentito dire, io, esponente di spicco dei Moskovskaya Rebels, che mi faccio le canne da sempre e che faccio due tiri da una sigaretta solo quando non c’ho il fumo (cioè quasi mai) ma che quando c’è da studiare non alzo la testa finché non ho capito.

 

Ma è così, quando non si è abituati ad avere a che fare con i numeri, qualsiasi dato statistico può essere scioccante. E chi riporta i dati frutto di studi seri condotti da organismi accreditati appare come un provocatore da beffeggiare e, se alla dovuta distanza di sicurezza, da insultare e minacciare.

 

La risposta più fessa che si possa dare contro l’evidenza dei grandi numeri è l’esperienza personale, l’invito a vedere di persona. L’analisi sul campo è un momento importante della ricerca scientifica ma da sola non serve a niente. Per questo esistono le scienze sociali. Per demistificare i luoghi comuni, per fornire quella visione d’insieme che nemmeno la persona più sociale e più socievole del pianeta potrà mai avere. La statistica serve a vedere al di là del proprio naso. E sebbene io non faccia certo difetto in quanto a naso (se gli amici mi chiamano bekkaccia ci sarà pure un motivo) ho voluto studiare statistica per dare sostanza alle mie ricerche sociali e alle mie lotte politiche.

 

Quindi siccome tutti voi che ora mi state leggendo non aspettate altro che io arrivi finalmente al coronavirus, sappiate che le vostre critiche “ma non hai un amico che …”, “ ma vieniti a fare un giro a …” sono le risposte più cretine e meno scientifiche che potevate darmi.

 

L’OMS oggi parla di pandemia per la nuova moda virale del 2020, pur confermando che si tratta di un fenomeno a 5 zeri. Fino a qualche mese fe il termine pandemia veniva invece riservato a fenomeni a 8-9 zeri. Ma in quel caso nessun governo — a parte la solita manciata di “dittature” comuniste — ne trasse le conseguenze.

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