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CORONAVIRUS — Una risposta, qualche domanda e una proposta

1. RISPOSTA

 

Quando ho iniziato a sottolineare che i dati sulla pericolosità sanitaria del coronavirus erano pompati da una campagna mediatica terroristica ho suscitato molte critiche. Molti infatti hanno creduto che io volessi minimizzare un problema serio. E invece le mie intenzioni erano opposte. Avendo iniziato la mia ricerca economica — ormai trent’anni fa — proprio dall’economia sanitaria, ossia da un settore chiave che condiziona la vita concreta di noi tutti e che è oggetto di speculazioni politiche di ogni tipo, volevo semplicemente mostrare che l’emergenza sanitaria, purtroppo, nel nostro paese c’è sempre stata. Ma per ragioni di opportunismo politico e servilismo mediatico nessuno se n’è mai veramente occupato. E se oggi tutti i big della politica e dell’informazione se ne occupano è proprio per le stesse ragioni di opportunismo e servilismo.

 

Tra tutte le domande cui ho cercato di rispondere con i pochi mezzi comunicativi a mia disposizione, voglio riprenderne una in particolare, che è poi quella che — seppur espressa in tanti modi diversi — anima il risentimento, la rabbia e il dolore di tante persone impegnate sul campo.

 

“Ma non li vedi i malati ammassati nelle corsie degli ospedali? Non le senti le voci disperate di quanti provano a fare qualcosa e non hanno i mezzi sufficienti per riuscirci? Come fai a negare la carenza di posti letto e di strutture per la terapia intensiva? Non le vedi le bare che escono dagli ospedali?”

 

Purtroppo, come voi, anch’io vedo tutto questo, l’ho sempre fatto e continuo a farlo. E anch’io sento nel cuore le grida di dolore di chi soffre. Anch’io ho i miei malati e i miei morti. Anch’io ho la mia rabbia: ma non contro un virus invisibile bensì contro un sistema ben visibile che subordina la nostra vita e la nostra salute alla logica del profitto; contro un sistema fatto di uomini e donne, politici e ministri, che con le loro facce di merda hanno assegnato un valore alla nostra vita e l’hanno poi spinto sempre più in basso in nome dei tagli alla spesa e della “razionalizzazione” capitalistica.

 

E allora vi dico anche dove stavano fino a pochi mesi fa quegli stessi malati che oggi si ammassano negli ospedali, quei disgraziati che non riescono più a respirare e che attendono che si liberi un posto in terapia intensiva e quei poveracci che non ce la fanno e escono morti dai reparti ospedalieri. Stavano a casa loro, stavano nelle case di cura, stavano abbandonati da qualche parte, lasciati a se stessi, senza che nessuno si occupasse di loro, a parte i loro cari e i familiari, se ancora ce li avevano. Perché quando segnalavi al medico curante i tuoi sintomi influenzali — che poi sono gli stessi per i quali oggi si mobilita il mondo intero — il medico ti diceva di stare a casa e riposarti e se andavi in ospedale o al pronto soccorso, dopo una fila di ore ti rispedivano a casa senza nemmeno una visita specialistica, facendoti anche sentire un imbecille che pretendeva di sottrarre tempo prezioso e risorse scarse a un sistema già sull’orlo del baratro.

 

Quante di quelle 20.000 persone che ogni anno sono morte per cause connesse all’influenza (questo è il dato medio degli ultimi anni in Italia) potevano essere salvate se quando hanno segnalato il loro problema di salute invece che essere abbandonate avessero avuto accesso alle cure di cui avevano bisogno in strutture ospedaliere adeguate?

 

I carri funebri di troppo rispetto agli standard di un paese civile c’erano pure prima del coronavirus. Solo che venivano a prenderti a casa o nella casa di cura e, per i familiari, ora come allora, si poneva il problema dell’insufficienza dei forni crematori e di spazi adeguati in cui raccogliersi un attimo a ricordare il defunto (a parte le chiese, per i cristiani). Forse quest’ultima questione che ho toccato costituisce l’unico problema che il nostro Presidente del consiglio ha veramente risolto: ora i defunti dobbiamo piangerli ciascuno a casa sua, gli spazi pubblici non servono più.

 

Perché ora la vita sociale non esiste più, si fa sui social network, da casa. E come cantavano i nostri nonni, che oggi muoiono per il coronavirus, Scarpe rotte … Eppur bisogna andar! Così, la vita continua e da casa si cerca di fare un po’ tutto: la scuola, lo sport, la musica e le sedute di laurea ridicole alle quali ho rifiutato di partecipare.

 

E poi, oltre a morire e vivere, si nasce. E anche qui tutto è cambiato. Mamme che non possono avere accanto il loro compagno nel giorno più bello e più doloroso della loro vita e papà che non possono più assistere a quel momento magico soffrendo almeno moralmente assieme alle loro amate. Dalla nascita alla morte, la vita sociale di un paese intero ridotta a cliccare like o a mettere faccine di disappunto su un fottuto computer, per la gioia degli algoritmi di tracciatura delle nostre vite.

 

2. DOMANDE

 

Una mia cara amica, che versa tutt’oggi in gravi condizioni di salute, è stata sottoposta più volte al tampone da coronavirus, dapprima risultando positiva, per poi negativizzarsi ai successivi test. Da allora, tuttavia, le sue condizioni non sono minimamente migliorate, senza che nessun medico si sia realmente occupato di lei.

 

Ora, dunque la pongo io una domanda e la rivolgo in particolare agli specialisti di laboratorio che effettuano le analisi sui campioni che ci prelevano con i tamponi (sperando che questo post circoli sufficientemente in modo da averla veramente una risposta … anche se, a onor del vero, come vediamo in un attimo, un minimo di logica dovrebbe essere già sufficiente ad individuare una risposta inequivocabile).

 

Quando i tamponi praticati su persone con o senza sintomi influenzali vengono portati in laboratorio per le analisi, quali virus vengono ricercati?

 

Non c’è dubbio, che il cosiddetto coronavirus sia molto aggressivo ma i virus influenzali sono tanti e in alcuni casi decisamente più aggressivi e possono inoltre avere conseguenze altrettanto letali.

Nella stagione in corso, secondo le stime di Influnet (la rete italiana di sorveglianza dell’influenza messa in campo dall’Istituto Superiore di Sanità) i contagi da virus influenzali nel nostro paese hanno già superato i 7 milioni. Nella stagione 2016/17, secondo le stime disponibili più accurate, in Italia, sono morte circa 25.000 persone per cause attribuibili all’epidemia di influenza.

 

Questi sono i numeri. Li ripeto a voce più alta: SETTE MILIONI DUECENTOMILA CONTAGI E VENTICINQUEMILA MORTI A CAUSA DELL’INFLUENZA.

 

https://old.iss.it/…/…/influnet/pagine/rapportoInflunet.aspx

https://www.sciencedirect.com/…/artic…/pii/S1201971219303285

 

È ovvio che, se l’obiettivo del tampone fosse veramente la nostra salute, in laboratorio si dovrebbero ricercare tutti i virus influenzali. E se per motivi economici questo risultasse troppo costoso ci si dovrebbe concentrare almeno su quelli a maggiore diffusione e dalle conseguenze più serie o addirittura letali.

 

Giusto per fare un po’ di chiarezza, i virus influenzali che colpiscono la specie umana sono di tre tipi — A, B e C — e ognuno di loro si suddivide poi in un gran numero di sottotipi, di cui alcuni sono causa di malattie molto gravi, che colpiscono principalmente determinate fasce di età.

 

Dal punto di vista della salute, poi, il problema non è semplicemente che i virus influenzali sono veramente tanti ma anche che i farmaci efficaci contro un tipo di virus possono essere inefficaci contro virus di tipo diverso. Per questo, la logica sanitaria vorrebbe che, una volta prelevato un campione attraverso il tampone, il test si faccia per il numero più esteso possibile di virus, concentrandosi su quelli più pericolosi.

 

E invece, a quanto pare, il test riguarda unicamente la ricerca del nuovo coronavirus. Altrimenti come si spiega che in un paese con 7,2 milioni di casi di sindromi simil-influenzali, i tamponi non riescano a rilevare nessun contagio da influenzavirus di tipo A, B e C (con tutte le loro varianti) e che si riscontrino contagi solo relativi al nuovo arrivato? È possibile avere un chiarimento in merito? O giornali e tv, quando si occupano di coronavirus (cioè, in questo periodo, ventiquattro ore al giorno) sono impegnati solo a diffondere il panico?

 

Questo problema solleva poi un secondo blocco di domande. Quando muore una persona, come viene stabilita la causa? Qual è il protocollo utilizzato dai medici per indicare la causa di morte che poi la Protezione civile ci fornisce in tempo reale, peraltro con molte imprecisioni? Basta risultare positivi al coronavirus per rientrare nel conteggio dai morti da coronavirus, che ormai noi tutti seguiamo con più attenzione di quanto uno speculatore di borsa segua il FTSE MIB?

 

Siamo sicuri che questi conteggi non stiano semplicemente facendo venire alla luce quei morti che ci sono ogni anno a causa dei vari virus influenzali ma che abbiamo finora nascosto sotto al tappeto perché non c’erano né i soldi per le cure, né un’informazione giornalistica capace di dare il giusto risalto al problema?

 

L’insufficienza che il Sistema Sanitario Nazionale sta mostrando a livello preventivo, di diagnosi e di cura è veramente un problema di impreparazione rispetto ad un evento nuovo e in qualche misura imprevedibile o non è piuttosto una malattia cronica frutto di precise scelte politiche?

 

3. PROPOSTA

 

Se vogliamo fare una battaglia per una sanità al servizio dei cittadini non abbiamo bisogno del terrore mediatico e dei militari pronti a reprimerci se mettiamo il naso fuori casa. Abbiamo bisogno di lottare, come abbiamo sempre fatto, con la necessaria lucidità politica e una percezione corretta del fenomeno. Abbiamo bisogno di una strategia che dica no alla logica del profitto e alla mistificazione mediatica.

 

Con che faccia accogliamo i medici cubani che attraversano l’oceano per venire ad aiutarci mentre noi gli facciamo l’embargo in ossequio agi interessi yankee? Noi Yes Sir e loro Hola Compañero! Un’isoletta senza risorse — di fronte alla più grande superpotenza mondiale che da sessanta anni tenta di annientarla — che però riesce a farsi trovare sempre pronta ogni volta che un popolo ha bisogno, solo grazie alle braccia e ai cervelli del suo popolo rivoluzionario.

 

E noi, l’ottava potenza economica del mondo, nel panico per un virus, assieme a tutto il mondo a capitalismo avanzato! Perché le nostre braccia e le nostre teste, che pure non son da meno, devono pagare il tributo al capitale, cosicché il nostro lavoro e le nostre idee invece di far avanzare i diritti e i servizi ai cittadini fanno avanzare i profitti di banche e imprese.

 

Primari e professoroni che ora vengono in TV a darci le loro certezze sul coronavirus (anche se finora non c’hanno capito niente), e poi corrono a fare le visite a pagamento nelle strutture pubbliche (che noi finanziamo), dopo aver incassato lo stipendio da professore universitario, mettendo piede in università solo il giorno del Consiglio di Facoltà per esercitare il loro potere. Generazioni intere obbligate al doppio lavoro e loro abituati al doppio stipendio. E attorno ai baroni della salute e dell’università, tanti medici che svolgono con passione e con dolore il loro lavoro, paralizzati dal taglio dei fondi che di anno in anno ha annientato il Servizio Sanitario Nazionale, e una miriade di infermieri e altri lavoratori che fanno generosamente i tripli turni per tappare le falle del sistema.

 

Ma come pensiamo di formarli dei medici in grado di risolvere i nostri problemi sanitari, con la scuola a distanza, le università a pagamento e le facoltà a numero chiuso?

 

Ogni paese ha i suoi buoni motivi per cavalcare questo nuovo virus e, a seconda degli equilibri interni e internazionali, si assiste a voltafaccia politici clamorosi da parte di persone che della nostra salute non se ne sono mai fregati niente. Ma anche noi abbiamo i nostri motivi per cavalcare questo virus: per ribellarci e per pretendere un cambiamento radicale!

 

I nostri ragazzi devono tornare al più presto a scuola perché la scuola è un momento di vita sociale, non un insieme di nozioni da apprendere isolatamente davanti a un computer. I lavoratori — ovviamente con tutte le precauzioni sanitarie necessarie — devono poter tornare a guadagnarsi il pane nei luoghi di lavoro.

 

E no, ragazzi, non sto dicendo affatto quello che dice Confindustria, sto dicendo il contrario. Gli industriali stanno solo negoziando col governo gli aiuti da ricevere per i mancati guadagni in caso di chiusura. Ma lo sappiamo già come andrà a finire: le imprese riceveranno i loro begli indennizzi e i lavoratori dovranno lavorare più duro per creare il valore che lo stato girerà alle imprese.

 

E nel frattempo come vivono quei lavoratori che trent’anni di neoliberismo e precarietà hanno lasciato senza nessuna protezione? Chi si occupa del grosso della forza lavoro italiana che, in nome della flessibilità e della mistificazione, è dovuta diventare imprenditrice di se stessa? Come lo mettono un piatto di pasta a tavola quelle famiglie che campavano di lavori precari e intermittenti?

 

Le epidemie — c’è una letteratura sconfinata — si affrontano isolando e monitorando le persone contagiate e i soggetti a rischio, non con gli arresti domiciliari generalizzati, 2 milioni e mezzo di fermi di polizia e più di 100.000 denunce contro persone che, per un motivo o per l’altro, non hanno retto alle restrizioni. La fedina penale sporca … per una passeggiata. Ecco la soluzione di Conte. Abbiamo bisogno di medici e infermieri con adeguati mezzi sanitari non di sbirri e soldati sui loro blindati.

 

Basta mistificazioni, la nostra vita vale più dei loro soldi. E i virus non si curano con il mitra. Le priorità sociali — la salute, il lavoro, la scuola, l’ambiente — le dobbiamo decidere noi, nel dibattito politico e nel confronto democratico, non un piccolo dittatore che instaura l’emergenza nazionale. L’emergenza serve solo a imporci restrizioni, privarci del diritto di parola e consentire ulteriori speculazioni economiche e politiche. Per poi farci pagare questo riposo forzato con gli interessi.

Contro questi governi infami che da trent’anni tagliano tutto in nome dell’unica priorità che conta — i profitti di banche e imprese — è arrivato il momento di dire basta. Riprendiamo a discutere e a lottare. L’emergenza di Conte serve solo a isolarci a casa e a trasformare in reato anche una semplice passeggiata. Figuriamoci che ci faranno quando proveremo di nuovo a farla tutti assieme una passeggiata incazzata per le vie delle nostre città in difesa dei nostri diritti.

 

Non è il momento dell’unità nazionale contro un virus che, in definitiva, aggrava solo i problemi di sempre. È il momento della lotta per risolverli definitivamente i problemi di sempre.

 

Cavalcando un problema sanitario ci vogliono privare di quel poco che resta delle nostre conquiste. Cavalchiamolo noi questo virus e riprendiamoci tutto. Ma senza cadere nelle solite mistificazioni, che fanno comodo solo a chi ci comanda e senza piombare nel panico e nella depressione che oggi ci costringono ad affidarci a un Presidente del consiglio che non capisce niente di salute e che crede di poter imporre il fascismo in una Repubblica antifascista. Non siamo noi che dobbiamo restare rinchiusi, è Conte che deve andare a casa!

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