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Coronavirus e lotta politica

Un semplice post volto a suscitare qualche dubbio sulla razionalità delle misure di repressione senza precedenti che si sono abbattute sulla nostra vita e sulla nostra società, in nome di un emergenza sanitaria tutt’altro che comprovata, e subito è scattato il linciaggio.

 

Con poche eccezioni che si contano sulle dita della mano di un operaio che lavora alla pressa, un coro unanime di reazioni negative si è levato contro di me, con tanto di offese, insulti e minacce. Senza peraltro uno che sia uno che abbia provato a prendere seriamente i dati che ho riportato.

 

Tanti compagni con cui ho fatto anni di lotte politiche, condividendo anche qualche manganellata della polizia, ora vedono in me il nemico e nello sbirro che li costringe a casa il tutore della loro salute.

 

Quello stesso sbirro che sparava ai nostri compagni, li uccideva, li torturava, nascondeva le prove e depistava le indagini ora finalmente è lì per noi, per salvarci la vita. E i suoi mandanti, che gli ordinavano di sparare, uccidere, torturare e depistare sono i nostri protettori. Perché, come dicono i miei commentatori, fino a prova contraria (che ovviamente è onere di Giulio Palermo produrre) il coprifuoco è per il nostro bene.

 

Un governo autoritario che, senza alcun serio dibattito politico, priva i nostri figli del diritto alla scuola e tutti noi del diritto alla vita sociale e che inventa il reato penale per chi esce di casa diventa d’incanto la nuova guida spirituale del paese, seguita all’unisono da un popolo di pecore, senza distinzioni di classe e di colore politico.

 

Tutti uniti contro il virus!

 

Non c’erano riusciti con la crisi economica, quando ci chiedevano di piegare la testa in nome dell’unità nazionale e noi andavamo avanti con la lotta di classe, l’autorganizzazione, le manifestazioni, le occupazioni e i picchetti, e ci riescono ora con un virus che, a quelli della mia generazione, ricorda tanto il film, made in Cia, in piena guerra fredda, dei baccelloni venuti dallo spazio per sostituirsi agli esseri umani, con cui si invitava il comune cittadino a diffidare anche dei suoi vicini di casa.

 

Il luogo comune ripetuto all’ossessione trasformato in verità scientifica in grado di annichilire la mente fino a renderla incapace di vedere anche la grandezza dei numeri reali. Ecco cos’è realmente il coronavirus. Giornali che titolano “Più di 1.000 morti per coronavirus” e un mondo di analfabeti che va nel panico. Ma che invece rimane apatico quando decine di rapporti scientifici riportano che, in Italia, i morti annuali di influenza sono in media poco meno di 20.000. Perché un popolo che non sa più nemmeno leggere, scrivere e far di conto guarda al “più di” e al “meno di” ma i numeri che seguono non li vede nemmeno. E se qualcuno glieli mostra è un provocatore o, per i più audaci fighter da poltrona, uno da prendere a calci in culo.

 

Tecnologie nocive introdotte senza alcun test scientifico, misure di sicurezza sul lavoro e sull’ambiente che non ci sono mai state, violenze di classe, di razza e di genere perpetuate da sempre ma, in questo caso invece, fino a prova contraria, è tutto per il nostro bene.

 

E per i pochi che riconoscono che i numeri attuali sono un po’ lontani dalla tanto temuta pandemia, vale comunque il principio che, se anche la pandemia di fatto non c’è, potrebbe comunque svilupparsi (sulla base di ipotesi che per ora non trovano riscontro nei dati).

 

Nel dubbio, dunque, meglio mettere una nazione agli arresti domiciliari. Tutti d’accordo, dai libertari ai benpensanti, dai comunisti ai piccoloborghesi, finalmente uniti ai fascisti di sempre che vogliono le forze dell’ordine e l’esercito a presidiare i nostri territori.

 

Eppure sulla potenziale nocività dei telefonini con cui mi inviate i messaggi di insulti non è mai stata presa nessuna misura preventiva. Prima si mettono sul mercato e poi, eventualmente, si vede. E se l’evidenza empirica nostra che, effettivamente, certe radiazioni squagliano il cervello, quei poteri forti, che oggi secondo voi ci stanno proteggendo, stendono un velo e chiedono alle compagnie telefoniche suggerimenti sulla normativa da introdurre.

 

La lotta per un sistema sanitario al servizio dei cittadini trasformata in argomento di delirio collettivo, nel rifiuto dei dati scientifici e nell’emotività del terrore psicologico. Perché anche la necessità di una riforma sanitaria ormai non si affronta con la lotta politica basata su dati scientifici raccolti in decenni di studi ma come argomento a margine dell’emergenza coronavirus.

 

Invece di scendere in piazza e lottare, come abbiamo sempre fatto, contro un governo che ci manipola e ci reprime, che gioca con la nostra salute e che ci toglie i diritti, vi siete chiusi obbedientemente in casa, a discutere su facebook, senza nemmeno provare a documentarvi. E il vostro fine senso critico — trasformato in becero pappagallismo da qualunquisti — l’avete rivolto contro chi provava ad aprirvi gli occhi.

 

Anni di discussioni e assemblee su come riprendere in mano l’agenda politica per essere noi a stabilire i temi di dibattito, di critica e di lotta, secondo le emergenze sociali con le quali ci scontriamo quotidianamente annientati da una campagna di terrorismo mediatico con la quale i governi di tutto il mondo hanno finalmente preso in mano il telecomando della società.

 

Compagni e compagne in prima linea a denunciare il fenomeno del branco, tutti uniti — più che in un branco, in un gregge — a sputare la loro bava virulenta su chi la pensa diversamente. Da questo punto di vista, effettivamente i contagi politici e culturali da coronavirus hanno ben altri numeri rispetto ai soggetti realmente positivi al test.

 

Nel 1970, Peter Bachrach e Morton Baratz criticavano la società americana evidenziando la seconda faccia del potere, quella che passa per il controllo dei temi di cui si deve e non si deve discutere e delle lotte che si possono e non si possono fare. Non erano dei rivoluzionari ma nemmeno dei complottisti. Erano due scienziati politici che criticavano la fuffa scientifica dominante che asseriva che il potere è distribuito in modo uniforme nella società americana. E lo facevano mostrando che anche quando apparentemente non ci sono contrasti, il controllo dell’agenda politica costituisce una forma di potere ad alto grado di concentrazione.

 

E invece oggi, che il potere — come il capitale — è ben più concentrato, stiamo tutti qui a parlare di coronavirus e epidemiologia da bar dello sport, nella convinzione che sia una nostra libera scelta stare a casa a discutere di questo argomento, senza nemmeno contemplare l’idea che siano i poteri forti ad avercelo imposto, un po’ con la forza e un po’ con la manipolazione. Perché la sola possibilità del dubbio, me l’avete dimostrato voi, equivale a complottismo e terrapiattismo.

 

Persone che ho sempre stimato le trovo ora ben omologate e agguerrite contro chi solleva dubbi e invita alla critica. Perché il male comune unisce, questo chi conosce un po’ più dell’abc della scienza della comunicazione — da Goebbels alla Cia — lo sa bene. Quelle stesse persone che dicevano che in una società di sfruttamento e oppressione il bene comune non esiste scoprono ora nel male comune il nuovo collante sociale.

 

Francamente, di discutere con voi non mi va più. Semplicemente, vi schifo. Ma su una cosa vi do ragione. Quando dite che dopo questo virus niente sarà come prima, la penso anch’io come voi. Infatti, dal coronavirus si guarisce, dall’omologazione sociale e dall’appiattimento della critica no.

 

Rimanete dunque ben ordinati nell’ovile ad aspettare le disposizioni del pastore e ad obbedire al cane da guardia col cappello in testa e il mitra in mano. E vedrete che quando vi indicheranno la comparsa di una nuova pecora nera all’interno del vostro gregge sarete pronti per trasformarvi in branco ed annientarla. Proprio come le merde maciste che stuprano in gruppo le donne indifese.

 

Ma non è lo schifo che provo per voi che mi porta a scrivere queste parole bensì la tristezza che mi viene da questo brusco arretramento nei rapporti sociali e politici e dal tramonto, nel giro di pochi mesi di bufala planetaria, dell’approccio critico, dello spirito rivoluzionario, dei progetti e delle lotte che un tempo condividevamo. E già perché il campione da cui provengono le reazioni scomposte che ho ricevuto non è affatto casuale, né è rappresentativo dell’italiano medio. È costituito per lo più da compagni, da persone che lottavano per trasformare il mondo.

 

Questa volta quindi non me la sento proprio di salutarvi a pugno chiuso. Manteniamo le distanze, come impone il nuovo protocollo.

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